Raffaele De Grada

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Raffaele De Grada nacque a Milano, il 2 marzo 1885, primo di cinque figli.
Nella famiglia De Grada si coltivava la pittura da generazioni. Il padre Antonio era un buon amico di E. Gignous e di G. Segantini e faceva il decoratore. Alcuni suoi affreschi di carattere tiepolesco sono ancora visibili in alcune chiese della provincia lombarda (per es. S. Biagio a Monza). Per tentare la fortuna emigrò in Argentina nel 1890, ma la permanenza in Sudamerica durò solo due anni. Socialista, la situazione che l'attendeva in Lombardia non era soddisfacente e ancora una volta, dopo i fatti del 1898, la famiglia si trovò costretta ad affrontare uno spostamento, questa volta nella più vicina Svizzera (1899), dove i genitori risiedettero per molti anni.
A Zurigo ricominciò gli studi in tedesco, mentre il padre si dedicava attivamente a lavori di affresco per palazzi pubblici (pal. cantonale di Coira e la Posta Selnau di Zurigo), aprendo un'azienda di imbiancatura e decorazione. Ben presto cominciò ad aiutarlo, senza tralasciare la pittura da cavalletto ed è a Zurigo che, quattordicenne, cominciò a dipingere i suoi primi paesaggi: si recava spesso sulla Sihl, un piccolo fiume verde che scende dalle colline intorno a Zurigo e che passa sotto i ponti del quartiere italiano. I primi acquerelli, datati 1899, sono piccoli studi dai toni verdi e grigi, fatti sui bordi del fiume (M. De Grada, in catal. 1976, p. 6). Nel 1903 si iscrisse all'Accademia di Dresda, trasferendosi dopo due anni a Karlsruhe, dove restò sino al 1908.
Del 1903 è il dipinto L'Elba a Dresda (olio su tela; Zurigo, coll. K. Weber) che raffigura il ponte sul fiume Elba accanto al quale si trovava il caffè che diede il nome al gruppo della Brücke formatosi proprio quell'anno. I suoi primi termini di riferimento furono Hans Thoma e il naturalismo tedesco.
Lo studio degli impressionisti francesi, già entrati a far parte delle collezioni tedesche, e la conoscenza di Cézanne, che poté direttamente osservare nelle collezioni di Reinhardt e Hahnlöser a Winterthur, influenzarono in modo fondamentale la sua pittura. In questo periodo dipinse una serie di paesaggi montani (boschi di betulle d'autunno, laghi alpini d'inverno) che iniziarono a imporlo, con una certa fortuna, all'attenzione del pubblico. Nel 1912, anche se attivo nell'azienda del padre, compì il primo viaggio estivo in Italia allo scopo di dipingere. Nel 1912 era ad Anzio, nel 1913 in un paese nelle vicinanze di Orvieto, come testimonia un paesaggio pubblicato in un catalogo della galleria Neupert di Zurigo, galleria che comprò e promosse i suoi lavori e che nel 1913 gli organizzò la prima mostra personale con un'ottantina di dipinti. In Italia tornò anche per partecipare alla prima guerra mondiale: nel 1917 si trovava, in qualità di interprete, presso i campi di prigionia di Cremona, Gussola e Casalmaggiore. Il 1919 segna il definitivo abbandono della Svizzera per San Gimignano, dove nel 1915 aveva sposato Magda Ceccarelli.
È da questo momento che si può iniziare a parlare di uno stile personale nella sua pittura. I suoi interessi principali si focalizzarono intorno allo studio della natura, della luce e del colore e in Italia l'artista iniziò nuove ricerche che, sulla base della lezione di Cézanne e della conoscenza dei primitivi toscani, lo portarono a una ricostruzione del paesaggio "moderna, quasi geometrica, ma sempre legata alla natura e allo stato d'animo". (R. De Grada jr., 1983, p. 303). Una mostra del 1921, la sua prima personale a Firenze a palazzo Antinori, e la partecipazione alla "Fiorentina primaverile" del 1922 gli procurarono un certo consenso tra la critica e gli artisti e determinarono il suo trasferimento, nel 1922, a Firenze, dove trovò una prima sistemazione a Giramonte, nei pressi di Arcetri.
La vita culturale a Firenze tra il 1920 e il 1930 era piuttosto vivace; vi abitavano letterati come Montale e artisti come, Soffici, Rosai e lo scultore Libero Andreotti. Frequentava la casa di quest'ultimo e ruotava intorno al gruppo "Giubbe Rosse" e ai letterati della rivista Solaria. La sua pittura, che gradualmente si liberava dagli schemi primitivi, assumeva un tono di più ampio respiro, e venne notata da Margherita Sarfatti, da Mario Sironi e da Carlo Carrà, con i quali strinse amicizia. Nel 1922 era sorto a Milano intorno alla Sarfatti il "gruppo Novecento" e nel 1925 una commissione formata da Salietti, Sironi, Wildt e Funi incaricò proprio lui di organizzare la partecipazione degli artisti toscani alla prima mostra del Novecento che si tenne alla Permanente nella primavera del 1926 e lo stesso De Grada fu presente con tre olii (cfr. Novecento italiano (catal.), Milano 1926, p. 23): Ponte degli Scopeti (Milano, coll. Lidia Treccani), Capraia (Carate Brianza, coll. priv.; cfr. Il lombardo D., 1985, p. 38 n. 13) e Paese (coll. ignota).
Da questo momento in poi partecipò a tutte le mostre di "Novecento" in Italia e all'estero, anche se non si può parlare di una sua vera e propria adesione al movimento dal quale, pur condividendo le idee di costruzione e il ritorno alla primitiva purezza, si differenziava, come afferma Renato Guttuso, per "la sua purezza, per il suo sentimento della natura, per la sua onestà nel guardare, nel capire, nel trasporre. Senza sovrapporsi alla natura, senza preconcetti linguistici" (Il lombardo D., 1985, p. 133). Nel 1928 la Biennale di Venezia (che frequentava già dal 1920) ospitò per la prima volta una sua personale e nel 1930, dopo alcune mostre fortunate a Milano, lasciò Firenze per far ritorno alla sua città natale.
Sono di questo periodo alcune nature morte dai toni caldi, vasi di fiori e cesti di frutta, e alcune vedute del Lambro (Paesaggio a Vedano sul Lambro, 1936, Bergamo, propr. priv.; cfr. Il lombD., 1985, p. 62, n. 384; Carate BrianzaLa Valle del Lambro alla Casa Rossa, 1937, Carate Brianza, coll. Santo Caslini) e della periferia di Milano, quella stessa raffigurata da Boccioni agli inizi del secolo.
La sistemazione a Milano risultò meno felice della permanenza a Firenze e, inoltre, motivi di ordine economico lo spinsero ad accettare la cattedra di disegno e figura all'Istituto superiore d'arte di Monza, dove ebbe come colleghi Arturo Martini, Marino Marini, Pio Semeghini, Achille Funi; ma, a causa del suo rifiuto di prendere la tessera del partito fascista, fu costretto a lasciare l'insegnamento allo scoppio del conflitto. Attraverso il figlio Raffaele, che si dedicava alla critica d'arte, il suo studio iniziò ad essere frequentato dagli artisti più giovani, come Guttuso,  Birolli,  Manzù; negli ultimi anni della sua vita divise il suo soggiorno tra Milano e la Toscana da lui tanto amata.
Morì a Milano il 10 apr. 1957 dopo un ultimo incontro, l'anno precedente, con la pittura di Cézanne, suo maestro ideale insieme con Corot, in occasione della mostra del pittore ad Aix-en-Provence.
Tra le mostre postume che hanno reso omaggio all'artista, la cui opera è tra le più felicemente rappresentative della pittura italiana dei primi decenni del Novecento, ricordiamo quella organizzata dalla Biennale di Venezia un anno dopo la sua scomparsa, quella della Quadriennale romana nel 1959 e la vasta rassegna del 1976 alla Rotonda della Besana (Milano). Il comune di San Gimignano ha attualmente in programma l'apertura di un museo a lui intitolato; già nel 1960 ha istituito un premio per la pittura di paesaggio sempre a lui intitolato. Tra i suoi scritti si ricordano: Non funzionano gli archivi?, in L'Ambrosiano, Milano, 15 febbr. 1952; Inchiesta sull'arte contemporaneala risposta di RD., in Il NuovoGiornale (Firenze), 4 marzo 1954; e in Cataldella Terza Mostra nazionale dell'Associazione artisti d'ItaliaPalazzo reale, Milano 1955, p. 176.

Commenti

  1. Anche se non uno tra i primi a farne parte, è stato uno dei grandi nel Gruppo Novecento. I suoi paesaggi, unitamente a quelli di Arturo Tosi, resisteranno per sempre.

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